La probabilità diventa diagnosi certa se ad una semplice radiografia diretta dell’addome effettuata in corso di “crisi” vengono riscontrati “livelli idro-aerei” cioè ristagno di aria e liquidi nelle anse intestinali in assenza di lesioni organiche occludenti il lume intestinale”.

Cosa può fare un paziente quando il suo medico non riesce a tracciare una diagnosi precisa? Quanto influisce una diagnosi sbagliata sulla condizione psicologica di un paziente?

“Preservare il rapporto fra medico e paziente è importante in particolare quando il paziente è affetto da una malattia cronica invalidante. Questi deve per capire le difficoltà che il suo curante inevitabilmente incontra nel dover confrontarsi quotidianamente con la sfida rappresentata dal rapido evolversi delle conoscenze in campo medico. Uno strumento di informazione aggiornata a disposizione del medico e del paziente è rappresentato al giorno d’oggi da internet. E’ chiaro che l’interpretazione e l’uso delle informazioni mediche e scientifiche che provengono dall’accesso a internet sono diversi, e, se il medico ha gli stru- menti per valutare criticamente ci che dal web emerge, il paziente può, per cercare di capire maggiormente i suoi disturbi, contattare pazienti o associazioni di pazienti affetti potenzialmente della stessa patologia, e i centri nazionali o internazionali che se ne occupano in maniera specifica. D’altronde la scarsa conoscenza della patologia o la formulazione di diagnosi sbagliate, oltre che esporre i pazienti affetti da pseudo-ostruzione intestinale cronica a rischi anche gravi per la salute (basti pensare alla malnutrizione e alle sue conseguenze, e al rischio di interventi chirurgici inutili o addirittura nocivi), li pone in una condizione di isolamento e di vuoto assistenziale e spesso anche affettivo che ne compromette ulteriormente qualità di vita e condizioni psicologiche”.

Cosa direbbe a quei colleghi medici, e sono molti, i quali, pur non riuscendo a spiegare in maniera soddisfacente un quadro clinico complesso, si ostinano a non delegare ai centri specialistici le cure del malato?

“La diagnosi e la gestione della pseu- do-ostruzione intestinale cronica sono rese difficili per i medici dalle conoscenze ancora purtroppo limitate, malgrado i progressi compiuti nell’ambito dei meccanismi patogenetici e delle cause di tale malattia. D’altronde l’accumularsi delle conoscenze scientifiche in questo settore è sufficiente a dare alla malattia una precisa identità nosografica, tanto che già da sette anni è inserita nell’Elenco delle Malattie Rare dal Consiglio Superiore della Sanità. Al giorno d’oggi non è più accettabile che, di fronte a pazienti con sintomi tipici, il medico non sia in grado almeno di sospettarne l’esistenza, o che addirittura la neghi una volta che la diagnosi è stata formulata in un centro di riferimento. Quanto alla gestione dei pazienti, un inquadramento diagnostico-terapeutico in un centro dedicato è indispensabile, perché la terapia richiede una caratterizzazione della malattia la più estesa e precisa possibile, con indagini di III livello (studi di motilità gastrointestinale, studi di neuroimmunoistochimica e a volte di genetica). Inoltre il trattamento della malattia e la prevenzione delle complicanze richiedono associazioni farmacologiche (spesso con farmaci non reperibili in Italia ma comunemente in commercio all’Estero) e presidi nutrizionali a volte di difficile gestione (ad esempio la nutrizione parenterale)”.

Quali differenze (psicologiche, fisiche) esistono tra pazienti con “malattie comuni” e pazienti con “malattie rare”?

“Le differenze fra i due tipi di malattie sono essenzialmente di tipo psicologico e gestionale. Come già accennato, l’essere affetto da una patologia rara pone spesso il paziente in una condizione di isolamento assistenziale e affettivo che si ripercuote sulla psiche del paziente. Poi la necessità di attivare presso la propria ASL un nuovo percorso assistenziale (riconoscimento della malattia, attribuzione di un codice di esenzione, pratiche per l’erogazione di farmaci e prestazioni sanitarie in regime di esenzione, reperimento di farmaci inusuali) rappresenta di per sé un procedimento complesso per pazienti e familiari, già peraltro provati dalla malattia”.

Che conseguenze sulla psiche ha in genere chi si sente portatore di “malattia rara”?

“Per i disagi su descritti non è infrequente che i nostri pazienti presentino comorbidità psicopatologiche associate; in particolare sono frequenti stati d’ansia e sindrome depressiva reattiva. E se pensiamo che la qualità di vita dei pazienti affetti da pseudo-ostruzione intestinale è estremamente compromessa, questo diventa comprensibile”.

Quanto influisce sulla prognosi della “malattia rara” la diagnosi precoce? E perché queste malattie spesso vengono frettolosamente trattate come malattie mentali?

“Una diagnosi precoce limita in questi pazienti l’effettuazione di interventi chirurgici spesso numerosi e le conseguenti comorbidità associate (ad esempio formazione di briglie aderenziali; danni derivanti da resezioni di tratti più o meno estesi di intestino), e fa si che eventuali interventi chirurgici che si dovessero rendere inevitabili possano essere sfruttati a fini diagnostici (prelievo di biopsie a tutto spessore o adeguata conservazione dei pezzi operatori per la caratterizzazione immunoistopatologica della malattia). Una diagnosi precoce limita l’insorgenza di complicanze legate alla malattia (grave stato di malnutrizione, disionie, sindrome da contaminazione batterica del tenue), ed evita l’instaurarsi di quel circolo vizioso dettato dalla non conoscenza che spinge medici, e talvolta anche familiari dei pazienti, a trattarli da malati di mente, e i pazienti a dubitare di se stessi e a colpevolizzarsi, fino a originare vere e proprie turbe psicopatologiche”.

I familiari dei malati sono coloro che spesso vengono trascurati, e subiscono tutto l’iter diagnostico e terapeutico con grande fatica. Cosa consiglierebbe loro per affrontare nel miglior modo la malattia di un congiunto?

“Effettivamente i familiari dei pazienti affetti da pseudo-ostruzione intestinale cronica subiscono gli stessi disagi dei familiari di pazienti affetti da malattie croniche invalidanti o fatali, aggravati in questo caso dalla scarsa conoscenza della malattia e dalla sua rarità, e quindi dalla mancanza di persone con cui confrontarsi. I consigli per questi familiari sono quelli dati ai pazienti. approfondire la conoscenza, cercare una o più figure mediche di riferimento cui affidarsi, non lasciarsi intimidire e non vergognarsi di chiedere aiuto, armarsi di pazienza per affrontare gli ostacoli burocratici che si pongono sul cammino, ascoltarsi e ascoltare i familiari con onestà, coraggio e senza pregiudizi”.

Per la buona riuscita di una terapia, secondo lei è più importante che il medico abbia a cuore la malattia in sé o il paziente nel suo complesso, che soffre di quella determinata malattia?

“La risposta a questa domanda sviscera l’essenza della professione medica: il medico deve sicuramente guardare al paziente nel suo complesso e non come un insieme di sintomi e segni clinici, per al tempo stesso deve essere in grado di concentrarsi sui dettagli clinici, rag- giungendo quel distacco emotivo, la cui assenza impedisce anche al paziente di essere obiettivo sulle proprie condizioni di salute”.

Quanto è importante che il medico ascolti il paziente?

“Il primo insegnamento che viene impartito al medico è che deve stabilire un contatto umano con il paziente; il secondo è che spesso la diagnosi viene formulata semplicemente sulla base di un’accurata anamnesi”. Rapportarsi con una malattia rara non è solo un incidente di percorso nel cammino sanitario di una persona. Se fuori di metafora ha ragione il vecchio adagio per cui “Mal comune, mezzo gaudio”, a riprova di quanto sia consolante non essere soli nel disagio, fare i conti con un male che invece colpisce pochi sfortunati significa fare i conti anche con una solitudine indicibile, con un senso d’isolamento terribile. L’essere umano ha per natura bisogno di condividere; non è solo la legge del Dio d’amore che lo vuole, per chi crede, ma è la natura stessa dell’uomo nella sua interezza, dalla più piccola cellula alle profondità della psiche, che non pu fare a meno, da quando viene al mondo, di comunicare, di comunicarsi. I Greci, che dell’uomo avevano già capito tutto quanto, lo definivano con Aristo- tele “animale sociale” (zon politicn), e non è un caso che la prima forma di tortura in ogni tempo cominciava con l’isolamento. La malattia rara, che per definizione impedisce a chi ne è colpito di parlare del proprio stato fisico e morale con la speranza fondata di essere non solo ascoltato, ma compreso con simpatia nel senso etimologico della parola, ovvero il sympàschein greco, che non a caso vuol dire “soffrire insieme della stessa affezione”, costringe così il paziente a raccontarsi, ricevendo in cambio un senso più o meno prfondo di impotente solidarietà. In proposito riflettiamo col prof. Vincenzo Stanghellini, direttore del Dipartimento di medicina interna e gastroenterologia 12 dell’Ospedale Sant’Orsola – Malpighi di Bologna, che in questa veste lavora ogni giorno con persone affette da malattie rare e coi loro familiari, e che pertanto è ricco di un’esperienza che generosamente decide di condividere con noi.

Prof. Stanghellini, che tipo di relazione instaura con i suoi pazienti?

“Domanda difficile. Bisognerebbe chiederlo a loro. Di una cosa sono certo: ho sempre una grande curiosità per quanto mi riferiscono i pazienti e parto dal concetto che, se lamentano un malessere, questo esiste davvero, anche se le indagini diagnostiche attualmente disponibili non sono in grado di individuarne l’origine. Da questo spero traspaia un grande rispetto per ciascun paziente e per la sofferenza che non trova ancora risposte adeguate nella Medicina”.

Di fronte a quali sintomi, in caso di diagnosi incerta, consiglierebbe ai suoi colleghi di sottoporre i pazienti ad una visita specialistica per questa malattia rara?

“La presenza di sintomi digestivi cronici o ricorrenti tanto severi da interferire con le normali attività di vita del paziente, fino a modificarle fortemente o addirittura impedirne lo svolgimento, o da impedire la normale alimentazione del paziente determinandone calo ponderale, devono spingere il Medico, una volta esclusa la presenza di malattie organiche, a inviare il paziente a colloquio con lo specialista.

La malattia rara e i suoi risvolti a cura di Renata Motto paziente ad un Centro di Riferimento che si occupa di disordini funzionali gastrointestinali. In particolare la probabilità che un paziente sia affetto da pseudo-ostruzione intestinale è altissima, se presenta periodi di riacutizzazione dei sintomi, con vomito, dolore o gonfiore addominale, stipsi severa, difficoltà ad emettere flati, e se per tali sintomi è stato più volte inviato in Pronto Soccorso o sottoposto a interventi chirurgici inconcludenti ai fini sia diagnostici, sia terapeutici.